Ecotrackers en el Cuaybeno con los indigenas Secoyas

Ecotrackers desarrolla la protección de la Reserva Faunísitca del Cuyabeno y la cultura indígena de los Secoyas, un lugar con la explotación petrolera, la migración, la deforestación, el turismo y la expansion de la Palma Africana. (Ecotrackers develops the protection of Faunistica Reserve of Cuyabeno and the indigenous culture of the Secoyas, which is a place with petroleum exploitation, immigration, deforestation, tourism, and the expansion of the Palma Africana.)

Saturday, April 14, 2007

Giacopo Simonese y Giorgio Veronese en el Cuyabeno

unedì 9 aprile 2007







1) Tucano
2) Buono lo zapote dopo un mese di digiuno, eh?
3) Preparazione di Chichita di Chontaruros
4) Tarantola
5) Allenamento con cerbottana lunga
Ora carico le altre foto su album picasa, così potrete cliccare in basso a destra e vederle tutte, oltre ad altre foto del Rio Morona fatte da altri compagni di viaggio..

Secoya, Rio Aguarico


SECOYA

Shushufindi è un villaggio in puro stile “far-west”, nato da una quindicina di anni con la scoperta di copiosi giacimenti petroliferi. Questo ha attirato nella zona ogni sorta di avventurieri e disperati alla ricerca di un lavoro o di facili guadagni. Da questa cittadina bisogna dirigersi verso il fiume Aguarico, superando enormi distese di palme africane da olio, momenti nei quali si ha modo di vedere chiaramente tratti di selva completamente abbattuti fino all'orrizzonte.
Dopo un'oretta di barca a motore, arrivo in territorio degli indigeni Secoya, imparentati con i vicini Siona e Al'Cofàn. Una breve visita agli utlimi tre sciamani rimasti, il vecchio e famoso Cesario, Tintin e il terzo che non ricordo il nome, e poi altro piccolo spostamento fino alla casa di Basilio Payaguae, indigeno sessantenne che mi ospiterà per una settimana.
I Secoya sono stati il popolo più pacifico e ospitale che ho conosciuto durante il viaggio studio in Ecuador. Rimasti in circa 400 persone, vivono da anni un conflitto con le compagnie petrolifere, americane (Texaco) ma anche statali. Oltre ad aver visto la loro foresta depredata, subiscono anche un forte inquinamento delle acque, senza per altro trarre alcun beneficio neppure economico da questo scempio. Ovviamente il problema non è l'estrazione del petrolio in sè, ma il modo in cui viene fatto, pagando una miseria i terreni indigeni grazie all'inganno e all'ingenuità degli indios, e non utilizzando le misure di sicurezza che evitino sversamenti nelle pescose lagune del luogo che in questo modo vengono distrutte. Le coltivazioni di palme inoltre richiede numerosi pesticidi e concimi minerali che rovinano ulteriormente un suolo non atto sicuramente alla monocultura delle multinazionali. Infine subiscono una fortissima pressione da parte dei missionari cristiani evangelici svizzeri e statunitensi, che li impoveriscono culturalmente e che sono la causa primaria della scomparsa dello sciamanesimo autentico e delle tradizioni locali.

Basilio è un uomo ricco di conoscenze, si dimostrò sempre felice di insegnarmi le piante medicinali spontanee attraverso lunghe passeggiate nella jungla, e quelle che lui stesso coltiva presso la sua casa-palafitta. Interessanti alcune erbe utilizzate per sviluppare l'istinto cacciatore nei cani, ai quali viene messo nel naso e dato da bere l'infusione delle stesse. Queste erbe sono anche specifiche per determinati gruppi di prede, c'è quella per i roditori, quella per i suinidi e così via.
Tra le piante medicinali per Basilio la migliore rimane sempre l'ayahuasca, qui chiamata Ya-hé, alla quale viene associata la sinergica e complementare Psychotria spp, la Uai-Yahé. Sembra che a volte si usi anche un altro yahé, dalla descrizione potrebbe essere la Diplopteris cabrerana (chaliponga-chalipanga in vernicolare), o qualche altra specie di Psychotria o Banisteriopsis. Esistono infatti centinaia di specie differenti e migliaia di varietà in questi due generi, anche se erroneamente la letteratura nomina solo le due specie più famose e studiate, B. caapi e P. viridis.
I Secoya che ho conosciuto vivono prevalentemente di agricoltura semistanziale, coltivando cacao, yucca, banane, papaya, mais. Producono anche delle bevande, in particolare la “chichita” (leggesi cicita) de Chontaduros, frutto della Bactris gasipae. Altre importanti attività sono la pesca e la caccia. In quest'ultima si usano i cani e il fucile, anche se Basilio possiede due splendide cerbottane da 2 e da 4 metri costruite a mano e che utilizza ogni tanto quando ha a disposizione il veleno per le frecce. In una battuta di caccia alla quale partecipai prendemmo un formichiere gigante, che venne poi in gran parte affumicato in modo da preservarne la carne. Questa è ottima, sa di capretto. Basilio mi insegnò anche a scovare le tane di alcune formiche che vivono all'interno dei rami di un albero, e che hanno un forte e buonissimo sapore a limone effervescente, specialmente quando pungono la lingua. Oltre ai cani, tra gli animali domestici ci sono un paio di mucche, portate sicuramente dai missionari o dai coloni, che si ostinano a immettere queste specie poco adatte alla foresta, anzi direi per nulla adatte. Inoltre qualche pollo mal difeso dagli agguati notturni del tigrillo, piccolo felino amazzonico. Infine due tucani che vivono totalmente liberi, ma vengono con piacere a farsi dare da mangiare qualche banana in cambio di penne della coda, che gli indigeni usano poi per abbellire collane e monili vari. I Secoya sono infatti abili artigiani, arrivando a costruire splendidi amache matrimoniali completamente fatte a mano partendo dalla corteccia di alcuni alberi, cosa che impiega loro anche 6 mesi di lavoro.
Come in altri villaggi e case nella selva, anche qui ci sono i pannelli solari, con i quali si caricano delle batterie in modo da avere qualche ora di luce dopo le 6 di pomeriggio, ora alla quale il sole tramonta alla latitudine di circa 0º alla quale si trovano.
Ricorderó sempre i Secoya come il miglior popolo che ho conosciuto, per lo meno per la loro laboriosità e disponibilità nel compartire e scambiare conoscenze, in particolare Basilio che rimane ancora sbatezzato e conserva in sè la memoria dei tempi in cui tutto il suo popolo conosceva le piante e interagiva con esse. Lo sciamano Cesario rimane uno degli ultimi depositari di questa conoscenza che le multinazionali e i globalisti devono distruggere, per mezzo dei missionari e assassinii mirati, in modo da avere campo libero nel controllo delle loro risorse, e nel controllo dell'uomo e della sua anima. Prima colonizzano le tradizioni, poi le menti, e infine colonizzano i terreni. L'indigeno, se non è già scomparso del tutto, diventa un fantasma-schiavo che vive al margine della nuova società imposta. Spero che non accada mai, per questo bisogna supportare le tradizioni indigene, e lottare contro l'evangelizzazione prima di tutto. Supportare le tradizioni indigene non significa farli vivere all'età della pietra, ma significa permettere loro una normale evoluzione personale e l'uso della moderna tecnologia (vedi pannelli solari ad esempio) alla quale anche loro hanno pieno diritto, senza distruggere la loro cultura di base e quella che alla fine è la loro storia. E la storia e una cultura indipendente è quanto più temono i globalisti eugenetici del WWF, Greenpeace e tutte le organizzazioni finto-ecologiste che fanno capo al Club of Island e ai reali inglesi e olandesi, che guarda caso sono anche i padroni di compagnie petrolifere.. WWF e British Petroleum, Greenpeace e Dutch Shell Oil Company, Avaaz.org e Soros Fundacion.. che bei conflitti di interessi, non credete?
Jacopo Simonetto

2 Comments:

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